lunedì 27 giugno 2011

I greci non erano normali — 1: dimostrazioni

Ai greci non bastava sapere che il quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo era equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti: no, loro volevano anche dimostrarlo. È stato quando qualcuno si è chiesto il perché la geometria funzioni in un certo modo che è iniziata la rovina degli studenti.

Se chiediamo a uno studente di ogni ordine e grado che cosa sia una dimostrazione di un teorema, lui farà fatica a rispondere. C'è qualcuno che fa ancora fatica a distinguere una definizione da una dimostrazione, per dire.

Comunque, una dimostrazione è una sequenza di deduzioni che, partendo da affermazioni che sappiamo essere vere (e che chiamiamo ipotesi) ci porta a concludere che una certa affermazione (la tesi) è anch'essa vera.

Volendo essere pignoli, anche questa sequenza di deduzioni dovrebbe soddisfare a certe regole, altrimenti come facciamo a sapere se stiamo deducendo correttamente? Ma questo è un problema che è stato affrontato successivamente, i greci non se ne sono preoccupati molto. Euclide, negli Elementi, presenta cinque cosiddette nozioni comuni (o assiomi) che userà in seguito, ma non analizza il procedimento deduttivo nel dettaglio. Eccole, nella versione di Tartaglia:

  1. Quelle cose che à una medesima cosa sono equali, fra loro sono equali.
  2. Et se à cose equal siano aggionte cose equali, tutte le somme seranno equali.
  3. Et se da cose equali seranno tolte cose equali, quelle cose, che resteranno, seranno equali.
  4. Se alcuna cosa sia posta sopra a un'altra, e serà applicata a quella, che l'una non ecceda l'altra, quelle seranno fra loro equali.
  5. Ogni tutto è maggiore della sua parte.

Concentriamoci sulla struttura dei teoremi, mentre lasciamo ai logici l'analisi delle regole di deduzione.

Una dimostrazione funziona se si può appoggiare sulle ipotesi, cioè su altre affermazioni vere. Ma allora la domanda che il bravo matematico si pone è: come facciamo a sapere che le ipotesi sono vere?

Una prima risposta è: perché le abbiamo dimostrate prima.

«Ah, una gran risposta! Non ci vuol molto a capire che non funziona, eh».

«Già. Riesci a spiegarmi perché non funziona?».

«Eh, perché se le ipotesi le abbiamo dimostrate prima, vuol dire che si appoggiavano su altre ipotesi».

«E quindi?».

«E quindi anche quelle ipotesi andavano dimostrate ancora prima, e così via».

«Esatto. Se ci chiediamo perché le cose funzionano, rischiamo di iniziare una ricerca delle origini che non avrà mai fine. Se ogni dimostrazione ha bisogno di appoggiarsi su dimostrazioni precedenti, non finiamo più».

«E quindi? I greci non si sono preoccupati di questo fatto?».

«Oh, sì, è stato uno dei maggiori problemi. Euclide capì che questa ricerca delle origini a un certo punto deve finire».

«E come si fa a finirla? I teoremi iniziali dovrebbero essere senza dimostrazione, non si può».

«Invece è proprio così che si fa. Si stabiliscono delle affermazioni di base, sulle quali tutti i matematici sono d'accordo, e si parte da lì. Quelle affermazioni sono vere perché noi diciamo che lo sono, e basta».

«Ed Euclide ha fatto così?».

«Sì. All'inizio elenca una serie di affermazioni, che chiama postulati, che ci dicono come funziona la geometria. Eccole qua:».


  1. Adimandiamo che ce sia concesso, che da qualunque ponto in qualunque ponto si possi condurre una linea retta.
  2. Anchora adimandiamo che ci sia concesso, che si possi slongare una linea retta terminata direttamente in continuo quanto ne pare.
  3. Anchora adimandiamo che ce sia concesso, che sopra a qualunque centro ne piace puotiamo designare un cerchio di che grandezza ci pare.
  4. Similmente adimandiamo, che ci sia concesso tutti li angoli retti esser fra loro equali.
  5. Adimandiamo etiam che ci sia concesso, che se una linea retta cascarà sopra due linee rette, & che duoi angoli da una parte siano minori di duoi angoli retti, che quelle due linee senza dubbio, protratte in quella medesima parte sia necessario congiongersi.


«Ah, mi pare di aver studiato qualcosa a scuola. Però non ne abbiamo parlato molto».

«Eh, infatti sono cose che da studenti si capiscono poco. Sembrano stupidaggini, figuriamoci se uno studente sente il bisogno di un postulato che afferma che per due punti passa una sola retta».

«In effetti, è una cosa talmente ovvia…».

«Infatti deve essere ovvia. Dato che non è dimostrabile, più evidente è, meglio è. Ma è solo quando si è studiato tanta geometria che ci si può chiedere che cosa succederebbe modificando qualche postulato. E da lì si capisce che sono proprio i postulati a stabilire come funziona la geometria. Se cambi qualcosa nelle fondamenta, la struttura che costruisci potrebbe essere completamente diversa (e se cambi qualcosa facendo poca attenzione, la struttura potrebbe anche crollare)».

«Ma quindi anche Euclide avrà studiato tanta geometria, prima di fare l'elenco dei suoi postulati, no?».

«Sì, Euclide ha sistematizzato tutta la geometria, dandole le basi e una struttura coerente. I teoremi principali magari erano già noti, si sapeva che erano veri, ma non si sapeva il motivo. Grazie a Euclide tutto viene messo in ordine».

«Bè, niente male».

«Eh, no, niente male davvero. Ancora oggi studiamo la sua geometria così come l'aveva scritta lui, con pochissimi aggiustamenti. I greci, ad esempio, si preoccupavano molto di dare definizioni costruttive, mentre noi non siamo così ossessionati dalla costruzione degli oggetti geometrici».

«Cosa significa definizioni costruttive?».

«Significa che non ti basta, per esempio, dire che esiste un certo triangolo isoscele, ma devi anche saperlo costruire utilizzando gli strumenti adatti».

«Che sarebbero?».

«I greci utilizzavano soltanto la riga e il compasso».

«Vabbè, anche noi quando facciamo dei disegni tecnici utilizziamo riga e compasso».

«Vero. Ma la riga e il compasso dei greci erano strumenti molto essenziali».

«Cioè?».

«Sulla riga non puoi segnare delle tacche, non puoi prendere misure. Se hai due punti sul piano, con la riga puoi disegnare la retta che passa per i due punti, e basta».

«Ah, come dice il primo postulato».

«Esattamente».

«E il compasso? Non è come il nostro compasso?».

«No, è molto più essenziale: come dice il terzo postulato, puoi puntarlo in un certo punto, aprirlo fino ad arrivare a un secondo punto, disegnare il cerchio e poi, non appena lo stacchi dal foglio, tac, si richiude».

«Cosa? Non posso usarlo per riportare delle lunghezze?».

«Assolutamente no. Apri, fai il disegno, stacchi, tac, hai perso la misura».

«Ma allora che geometria si riesce a fare con degli strumenti così inutili?».

«Eh, bella domanda».

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